Le differenze salariali tra donne e uomini sono riconducibili a ragioni diverse, legate in parte a fattori storici e in parte a stereotipi di genere profondamente radicati. Ad alimentarle contribuiscono anche l’assenza o l’insufficienza di offerte di custodia dei bambini esterne alla famiglia nonché la ripartizione iniqua del lavoro di cura non retribuito.
Disuguaglianze «prima del mercato»
Oggigiorno le donne che svolgono un’attività lavorativa sono sempre di più e anche in fatto di livello formativo ed esperienza professionale hanno guadagnato terreno. Eppure le differenze di genere riguardo alla formazione e all’esperienza lavorativa persistono. Anche la scelta della professione e degli studi continua ad essere fortemente caratterizzata da criteri di genere. Le disparità «prima del mercato» sono strettamente interconnesse con la ripartizione dominante dei ruoli familiari. Molte madri, ad esempio, possiedono meno esperienza professionale, in quanto a un certo punto interrompono o riducono l’attività professionale per dedicarsi alla famiglia e all’accudimento dei figli. Dal canto loro, gli uomini lavorano meno spesso a tempo parziale e sono tendenzialmente meno favoriti dai datori di lavoro in tal senso. Inoltre le offerte di custodia dei bambini esterne alla famiglia continuano ad essere lacunose.
Disuguaglianze «sul mercato»
Con questa espressione ci si riferisce alle diverse opportunità salariali e occupazionali di donne e uomini. Infatti, nelle professioni o negli ambiti d’attività tipicamente maschili il livello dei salari è spesso superiore rispetto ai mestieri tipicamente femminili. Le donne sono meno presenti in funzioni altamente qualificate e dirigenziali, dispongono di una minore esperienza lavorativa e si distinguono dagli uomini per il grado di occupazione.
Discriminazioni «sul mercato»
Se una donna, a pari livello di qualifiche, ha minori chance di essere assunta da un’azienda, di seguire un perfezionamento, di ottenere una promozione e di vedersi affidare compiti più esigenti si tratta di una discriminazione occupazionale. Se per un lavoro uguale o di uguale lavoro percepisce un salario diverso rispetto a un uomo, si tratta di una discriminazione salariale. La discriminazione può essere diretta o indiretta. Si parla di discriminazione salariale diretta ad esempio quando i lavoratori e le lavoratrici ausiliari/e percepiscono salari minimi diversi. Vi è invece discriminazione indiretta se viene assunto un numero maggiore di donne a tempo parziale e il lavoro part-time è meno retribuito. Lo stesso vale se una professione tipicamente femminile (infermiera) è meno retribuita rispetto a una professione tipicamente maschile equivalente (poliziotto).
Come nasce la discriminazione salariale?
Di norma la discriminazione salariale non è intenzionale. Spesso i motivi vanno ricercati nella diversità, non giustificata da criteri oggettivi, con cui sono valutati il lavoro e le prestazioni di donne e uomini. Anche gli stereotipi di genere svolgono un ruolo decisivo in tal senso. La discriminazione nasce inoltre negli ambiti in cui i salari non sono fissati in modo sistematico e trasparente e vengono negoziati prevalentemente su base individuale. Le aziende possono ridurre in modo efficace il rischio di incappare in una discriminazione salariale, verificando regolarmente la propria prassi retributiva ed evitando distorsioni di genere nella valorizzazione del lavoro, nella determinazione del salario secondo la funzione nonché nella valutazione della prestazione.
Motivi specifici di discriminazione salariale in seno a un'azienda
- Salari iniziali inferiori per le donne in funzioni equivalenti al momento dell’entrata nel mondo del lavoro o in azienda.
- Valutazione del lavoro antiquata, non neutra dal punto di vista del genere, nell’ambito della quale a causa di distorsioni del sistema e della sua applicazione le funzioni tipicamente femminili sono meno considerate e quindi peggio retribuite rispetto a quelle tipicamente maschili equivalenti.
- Un’ampia forbice salariale aumenta il margine di manovra per la determinazione del salario ad personam, con il rischio che si creino derive che alla lunga potrebbero portare a discriminazioni salariali.
- Bonus o partecipazioni agli utili si basano sulla valutazione delle prestazioni che comprendono distorsioni legate al genere (ad es. ore straordinarie come indicatore di rendimento, peraltro già remunerate finanziariamente).
- Determinate indennità riservate agli occupati a tempo pieno.
- Versamento di indennità in funzione del mercato al momento dell’entrata in servizio, non adeguate negli anni.
Conseguenze della discriminazione salariale
La discriminazione salariale danneggia le donne e le loro famiglie sia a breve che a lungo termine, in quanto i bassi salari si ripercuotono anche sulle assicurazioni sociali e sul livello delle rendite. Ma ha anche conseguenze per l’intera società. Infatti lo Stato deve erogare maggiori contributi dell’aiuto sociale e nel contempo incassa meno introiti fiscali e contributi alle assicurazioni sociali. L’economia dispone di un serbatoio più piccolo di manodopera qualificata per la mancanza di un numero sufficiente di donne sul mercato del lavoro. Non da ultimo, la discriminazione salariale crea una distorsione della concorrenza tra le aziende.
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